Punto di partenza è ricordare ai lettori come sia stata l’Italia, nel 1911 a dare, in occidente, un importante iniziale contributo al processo di proibizione della pianta di Cannabis durante l’International Opium Conference in Hague (una cittadina al nord dell’Olanda).
La presa di posizione dell’Italia avvenne in supporto alle posizioni statunitensi e colse di sorpresa tutti gli altri paesi (tranne gli USA). La delegazione Italiana inserì nell’agenda di discussione questo argomento senza che gli altri fossero d’accordo e lasciando la conferenza durante il primo giorno senza troppo curarsi delle risposte sollevate in merito a tale imprevisto inserimento. (per una storia dettagliata del processo di proibizione invitiamo i lettori a rivolersi alla nostra associazione)
Da allora diversi sono stati gli esponenti Italiani che hanno protetto il regime proibizionista imposto dagli Stati Uniti. Quell’onda culturale si perpetua ancora oggi, soprattutto ai vertici degli apparati di controllo (ONU, SIF, AIFA, WHO).
Le infiorescenze femminili della pianta di Cannabis sativa L. sono prescrivibili da ogni medico, in scienza e coscienza, per tutte le indicazioni in cui vi sia una letteratura a supporto della sua possibile efficacia. Tale spettro di indicazioni è molto ampio e le evidenze sono più o meno chiare a seconda del quadro patologico preso in considerazione. La decisione è quindi rimandata al livello di competenza e di aggiornamento del professionista stesso.
Nel 2015 il Ministero della Salute, governato allora dall’On. B. Lorenzin, ha emanato un decreto in cui venivano elencate una serie di condizioni patologiche per cui, l’utilizzo della pianta di Cannabis, è stato dimostrato essere incontrovertibilmente utile. Per tali indicazioni è possibile intraprendere un lungo iter burocratico che porta alla prescrizione a carico del SSN. Tali indicazioni, però, non dovrebbero essere considerate rigorosamente le uniche per cui questo farmaco può essere utile.
L’approvvigionamento della Cannabis è iniziato nel 2007 in Olanda grazie alla possibilità offerta dalla legge italiana di importare dall’estero specialità medicinali non prodotte sul territorio nazionale (l’azienda di riferimento allora e a tutt’oggi è la Bedrocan®). La produzione italiana, iniziata nel 2015, permette la produzione di un quantitativo di farmaco relativamente piccolo a fronte dell’importante investimento sostenuto dallo Stato. Data l’incapacità di sopperire alla crescente domanda nazionale, durante il 2018, il ministero della Salute ha emanato un bando per un’ulteriore importazione. Tale bando è stato vinto da un’azienda Canadese (Aurora)
Attualmente l’Italia ha a disposizione, in totale, circa 800 kg all’anno di infiorescenza secca di Cannabis Sativa.
Ogni medico abilitato alla professione può prescrivere il farmaco su territorio nazionale con ricetta galenica non ripetibile. A differenza di quanto riportato dal Prof. Vannacci, la nostra esperienza ci dice che la maggior parte dei pazienti trova enormi resistenze sia nell’ambiente ospedaliero sia negli specialisti che si trovano a consultare per i loro problemi specifici. Trovare una farmacia galenica che abbia, insieme, la conoscenza e la disponibilità di farmaco utili a garantire al paziente una continuità terapeutica, è un’altra difficoltà che i pazienti riportano come presente ed importante.
I pazienti più coraggiosi e più determinati (e che solitamente assumono dosaggi elevati per condizioni molto debilitanti) perseguono la strada di importazione diretta dall’estero. Ad oggi scoraggiata dagli organi Statali ma ancora percorribile di diritto.
Il farmacista fornisce al paziente un prodotto su stretta indicazione del Medico Curante. Può essere consegnata al paziente l’infiorescenza semplice (suddivisa ad arte dal farmacista nel dosaggio indicato dal medico) oppure un preparato che segue le metodiche di estrazione riconosciute (Romano-Hazekamp ndr). Sono possibili le preparazioni in altre formulazioni tipo capsule, creme, ovuli vaginali o supposte ma la loro produzione è delegata ad uno sparuto numero di farmacie galeniche italiane che si contano sulle dita di una mano eliminando, de facto, tale opportunità per i pazienti.
I metodi di assunzione sono inalazione o ingestione (la via topica è percorribile solo per quanto riguarda i colliri ma è ad oggi poco perseguita). Nel primo caso ci si avvale dei vaporizzatori mentre per quanto riguarda l’ingestione vi sono diverse vie. La tisana, riportata dal Prof. Vannacci, non è il metodo preferito dai pazienti. I cannabinoidi, infatti, non sono solubili in acqua e anche l’aggiunta di un cucchiaio di olio o latte come viene consigliato non garantisce un’estrazione completa e costante del fitocomplesso. L’estrazione in olio di oliva si è dimostrata essere poco efficace e estremamente variabile nella percentuale di composti estratti come dimostra un lavoro dell’università di Milano. Attualmente, l’olio di cocco MCT è il solvente preferito dai medici che si occupano regolarmente di questa materia.
Non ci sono livelli raccomandati. Ciò che appare ormai evidente, però, è l’importanza dell’Effetto Entourage (introdotto dai Prof. Russo e Mechoulam, padri della scienza cannabinoide) che sancisce come non siano importanti le singole molecole ma piuttosto tutta l’infiorescenza in sé. Le sostanze attive sul nostro organismo sono infatti più di 450 (Cannabinoidi, Terpeni, Flavonoidi) ed è la loro azione sinergica ad essere terapeutica piuttosto che il singolo THC o CBD.
Per comprendere gli effetti della Cannabis si deve tenere in considerazione il sistema endocannabinoide umano. Nuovo sistema fisiologico scoperto solo negli scorsi anni 90. L’analgesia, il miorilassamento e l’effetto ansiolitico sono solo una piccola parte di quello che la Cannabis può fare per il nostro organismo. Il sistema endocannabinoide, infatti, si è dimostrato essere estremamente importante nella regolazione del sistema immunitario ed endocrino, ha importanti azioni neuroprotettive e neurorigenerative, regola il nostro sistema dell’appetito ed, in definitiva, contribuisce al mantenimento della nostra omeostasi ovvero il nostro equilibrio di benessere.
Correlazioni tra dosaggi di THC ed indicazioni, al giorno d’oggi, sono puramente speculative.
La presenza del sistema endocannabinoide nel contesto genetico dell’organismo fa si che non ci siano limiti d’età. Concordo con il professore che l’utilizzo in pazienti pediatrici e negli adolescenti sia necessaria estrema cautela.
Il passaggio dei principi attivi attraverso la placenta e nel latte materno, sebbene debba essere tenuto in dovuta considerazione, a nostro avviso, non rappresenta, di per sé, la base razionale per evitare l’utilizzo in gravidanza. I cannabinoidi, infatti, si sono rivelati agenti chiave nel processo di preparazione, istituzione e mantenimento della gravidanza ed il loro utilizzo, quindi, può essere valutato in casi specifici dai professionisti.
Gli unici effetti collaterali che meritano di essere presi seriamente in considerazione sono la sindrome da iperemesi da Cannabinoidi e la Sindrome da Ipersensibilità da Cannabinoidi nei quali va sospesa immediatamente l’assunzione.
Altra controindicazione alla prescrizione di tali farmaci è la presenza di Aritmie cardiache (in trattamento o no) in quanto potrebbero essere scompensate dalla terapia cannabinoide. Effetti su ansia, depressione, “psicosi”, sono più imputabili ad una scarsa gestione della terapia da parte del medico che non ha saputo rendere edotto il paziente sul farmaco e che quindi rappresentano manifestazioni di una “paura” o “discomfort” del paziente stesso.
L’unico dato presente in letteratura circa la dipendenza indotta da Cannabinoidi riporta un’incidenza del 9% degli utilizzatori. (Pubblicazione su NEJM) Diversi autori hanno messo in discussione tale riscontro sottolineando come non vi sia alcuna dipendenza fisica (come nel caso del craving da oppioidi) ma che essa si stabilisca solo su meccanismi di abitudine o psicologici a tutti gli effetti reversibili.
Il prof. Russo, durante un congresso nel 2015, ha magistralmente riportato come la Cannabis possa essere utilizzata in modo molto efficace per vincere le dipendenze piuttosto che esserne la causa. Ciò la renderebbe indicata nei soggetti che presentano problematiche di abuso di droghe o farmaci. Per quanto riguarda i soggetti affetti da condizioni psichiatriche l’utilizzo deve essere attentamente valutato ma tali condizioni non dovrebbero rappresentare di per sé una controindicazione alla prescrizione.