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Cannabis Uso e Abuso

Cannabis Uso e Abuso


Ci sono tre categorie di persone, la prima è la più diffusa tra la popolazione generale ed è quella che conosce la pianta di Marijuana come un veleno. La seconda, quella meno diffusa, è rappresentata da coloro che considerano la pianta di Cannabis come una delle principali risorse dell’essere umano. La terza ed ultima è l’inevitabile schiera di indecisi o inconsapevoli che, di questa pianta poco sanno ma non prendono nemmeno parte ad un processo di crescita culturale personale per potersi collocare in una delle prime due categorie.

La domanda che genera la tripartizione è la seguente: “consideri la pianta di Cannabis sativa L. una droga d’abuso? Si, no e non so, sono le rispettive risposte.

Mi sono soffermato a lungo sul significato dei termini “droga” e “abuso”. La definizione del primo recita: “ogni prodotto naturale, vegetale o animale, contenente uno o più principî attivi (alcaloidi, olî essenziali, sostanze purgative, aromatiche, ecc.), e che, opportunamente preparato e conservato, trova indicazioni terapeutiche o sperimentali” Secondo tale definizione si possono quindi considerare “droghe” molte più sostanze di quelle che il nostro immaginario comune associa, ormai, a questo termine. Tale associazione è intimamente correlata con il significato del temine “d’abuso” che le connota nelle nostre raffigurazioni mentali. La Treccani di “abuso” riporta: “cattivo uso, uso eccessivo, smodato, illegittimo di una cosa”.

Può quindi esistere un abuso di Cannabis? La conclusione alla quale sono giunto è che SI, esiste indubitabilmente un possibile abuso di Cannabis. Comprendere come questo si manifesti, però, richiede un’intima auto-indagine. Solo attraverso un costante e severo processo di autocritica, infatti, si riescono ad evitare quei comportamenti che, alla lunga, possono diventare nocivi per il l’organismo umano (inteso in un ampio senso di interconnessione tra corpo, psiche ed anima).

Nella mia lunga esperienza di relazione con questa pianta sono venuto a contatto con centinaia di utilizzatori di Cannabis e, osservando il loro comportamento, ho cercato di comprendere dove si collocasse la linea di demarcazione tra uso corretto e scorretto. Quella stessa linea che ad oggi demarca la distinzione tra “uso terapeutico” ed “uso ludico”.

La risposta penso stia in una delle manifestazioni più importanti del proibizionismo, la lenta e progressiva perdita di cultura circa l’oggetto della proibizione. Nella Cannabis, in maniera più specifica, vediamo come, ad oggi, ci siano frotte di persone che hanno una visione distorta dell’utilizzo di questa pianta proprio per la loro scarsa conoscenza e consapevolezza.

Vijaya (Cannabis) è uno strumento molto potente che agisce, inevitabilmente, sulla nostra mente, sul nostro modo di ragionare e sul modo di affrontare le scelte che la vita ci propone. Questo dato è stato chiaramente riconosciuto dalla scienza attraverso l’azione che i cannabinoidi (ed il nostro sistema endocannabinoide) hanno sulla “plasticità sinaptica” ovvero sul come i nostri neuroni si ri-organizzano costantemente al fine di trasmettere al meglio l’informazione.

L’abuso di Cannabis incorre quando l’uso prescinde da questa consapevolezza e quando tendiamo a vederlo come un gioco, una leggerezza, uno svago. Il nostro io psichico rifugge dalla domanda fondamentale “come posso migliorare me stesso?” trovando giustificazioni immaginarie nel “comportamento degli altri”.

Un esempio rappresentativo: immaginiamo un paziente che sia afflitto dalla fobia di volare in aereo. Questa persona potrebbe essere propensa a utilizzare Cannabis al fine di mitigare il suo quadro psicologico d’ansia generalizzata, inevitabilmente correlato alla manifestazione fobica specifica del volo. In questo caso ipotetico, l’utilizzo terapeutico di Cannabis è quello che tende ad una progressiva mitigazione del quadro ansioso fino alla risoluzione ultima della fobia specifica portando il paziente a riuscire, finalmente, a prendere un aereo. Qualora sussista, invece, un abuso, tale quadro ansioso non verrà riconosciuto, verrà deliberatamente ignorato e non vi sarà nessuna progressione nell’evoluzione dell’individuo. (“sai quanti hanno paura di volare?”)

Evolvete, volate, smettetela di essere dei “fattoni” e, soprattutto, smettetela di dare motivazioni valide ai rappresentanti della prima delle categorie descritte all’inizio dell’articolo. La Cannabis non è un veleno ma se la usate per dimenticare le vostre debolezze siete proprio voi i primi a renderla come tale.

Bolenath.

Articolo scritto per BeLeaf Magazine

Cannabis Medica – Le Basi

Punto di partenza è ricordare ai lettori come sia stata l’Italia, nel 1911 a dare, in occidente, un importante iniziale contributo al processo di proibizione della pianta di Cannabis durante l’International Opium Conference in Hague (una cittadina al nord dell’Olanda).
La presa di posizione dell’Italia avvenne in supporto alle posizioni statunitensi e colse di sorpresa tutti gli altri paesi (tranne gli USA). La delegazione Italiana inserì nell’agenda di discussione questo argomento senza che gli altri fossero d’accordo e lasciando la conferenza durante il primo giorno senza troppo curarsi delle risposte sollevate in merito a tale imprevisto inserimento. (per una storia dettagliata del processo di proibizione invitiamo i lettori a rivolersi alla nostra associazione)
Da allora diversi sono stati gli esponenti Italiani che hanno protetto il regime proibizionista imposto dagli Stati Uniti. Quell’onda culturale si perpetua ancora oggi, soprattutto ai vertici degli apparati di controllo (ONU, SIF, AIFA, WHO).

Per il trattamento di quali patologie è stata autorizzata?

Le infiorescenze femminili della pianta di Cannabis sativa L. sono prescrivibili da ogni medico, in scienza e coscienza, per tutte le indicazioni in cui vi sia una letteratura a supporto della sua possibile efficacia. Tale spettro di indicazioni è molto ampio e le evidenze sono più o meno chiare a seconda del quadro patologico preso in considerazione. La decisione è quindi rimandata al livello di competenza e di aggiornamento del professionista stesso.
Nel 2015 il Ministero della Salute, governato allora dall’On. B. Lorenzin, ha emanato un decreto in cui venivano elencate una serie di condizioni patologiche per cui, l’utilizzo della pianta di Cannabis, è stato dimostrato essere incontrovertibilmente utile. Per tali indicazioni è possibile intraprendere un lungo iter burocratico che porta alla prescrizione a carico del SSN. Tali indicazioni, però, non dovrebbero essere considerate rigorosamente le uniche per cui questo farmaco può essere utile.

Da dove proviene la Cannabis Medica?

L’approvvigionamento della Cannabis è iniziato nel 2007 in Olanda grazie alla possibilità offerta dalla legge italiana di importare dall’estero specialità medicinali non prodotte sul territorio nazionale (l’azienda di riferimento allora e a tutt’oggi è la Bedrocan®).  La produzione italiana, iniziata nel 2015, permette la produzione di un quantitativo di farmaco relativamente piccolo a fronte dell’importante investimento sostenuto dallo Stato. Data l’incapacità di sopperire alla crescente domanda nazionale, durante il 2018, il ministero della Salute ha emanato un bando per un’ulteriore importazione. Tale bando è stato vinto da un’azienda Canadese (Aurora)
Attualmente l’Italia ha a disposizione, in totale, circa 800 kg all’anno di infiorescenza secca di Cannabis Sativa.

Chi può prescrivere Cannabis Terapeutica e dove si recepisce?

Ogni medico abilitato alla professione può prescrivere il farmaco su territorio nazionale con ricetta galenica non ripetibile. A differenza di quanto riportato dal Prof. Vannacci, la nostra esperienza ci dice che la maggior parte dei pazienti trova enormi resistenze sia nell’ambiente ospedaliero sia negli specialisti che si trovano a consultare per i loro problemi specifici. Trovare una farmacia galenica che abbia, insieme, la conoscenza e la disponibilità di farmaco utili a garantire al paziente una continuità terapeutica, è un’altra difficoltà che i pazienti riportano come presente ed importante.
I pazienti più coraggiosi e più determinati (e che solitamente assumono dosaggi elevati per condizioni molto debilitanti) perseguono la strada di importazione diretta dall’estero. Ad oggi scoraggiata dagli organi Statali ma ancora percorribile di diritto.

Come si prepara la Cannabis Terapeutica e come si ottiene dal farmacista?

Il farmacista fornisce al paziente un prodotto su stretta indicazione del Medico Curante. Può essere consegnata al paziente l’infiorescenza semplice (suddivisa ad arte dal farmacista nel dosaggio indicato dal medico) oppure un preparato che segue le metodiche di estrazione riconosciute (Romano-Hazekamp ndr). Sono possibili le preparazioni in altre formulazioni tipo capsule, creme, ovuli vaginali o supposte ma la loro produzione è delegata ad uno sparuto numero di farmacie galeniche italiane che si contano sulle dita di una mano eliminando, de facto, tale opportunità per i pazienti.

Come si assume la Cannabis Terapeutica?

I metodi di assunzione sono inalazione o ingestione (la via topica è percorribile solo per quanto riguarda i colliri ma è ad oggi poco perseguita). Nel primo caso ci si avvale dei vaporizzatori mentre per quanto riguarda l’ingestione vi sono diverse vie. La tisana, riportata dal Prof. Vannacci, non è il metodo preferito dai pazienti. I cannabinoidi, infatti, non sono solubili in acqua e anche l’aggiunta di un cucchiaio di olio o latte come viene consigliato non garantisce un’estrazione completa e costante del fitocomplesso. L’estrazione in olio di oliva si è dimostrata essere poco efficace e estremamente variabile nella percentuale di composti estratti come dimostra un lavoro dell’università di Milano. Attualmente, l’olio di cocco MCT è il solvente preferito dai medici che si occupano regolarmente di questa materia.

Quali sono i livelli di Thc e Cbd raccomandati?

Non ci sono livelli raccomandati. Ciò che appare ormai evidente, però, è l’importanza dell’Effetto Entourage (introdotto dai Prof. Russo e Mechoulam, padri della scienza cannabinoide) che sancisce come non siano importanti le singole molecole ma piuttosto tutta l’infiorescenza in sé. Le sostanze attive sul nostro organismo sono infatti più di 450 (Cannabinoidi, Terpeni, Flavonoidi) ed è la loro azione sinergica ad essere terapeutica piuttosto che il singolo THC o CBD.

Quali sono i principali effetti della Cannabis Terapeutica?

Per comprendere gli effetti della Cannabis si deve tenere in considerazione il sistema endocannabinoide umano. Nuovo sistema fisiologico scoperto solo negli scorsi anni 90. L’analgesia, il miorilassamento e l’effetto ansiolitico sono solo una piccola parte di quello che la Cannabis può fare per il nostro organismo. Il sistema endocannabinoide, infatti, si è dimostrato essere estremamente importante nella regolazione del sistema immunitario ed endocrino, ha importanti azioni neuroprotettive e neurorigenerative, regola il nostro sistema dell’appetito ed, in definitiva, contribuisce al mantenimento della nostra omeostasi ovvero il nostro equilibrio di benessere.
Correlazioni tra dosaggi di THC ed indicazioni, al giorno d’oggi, sono puramente speculative.

Ci sono limiti di età nel trattamento con Cannabis Medicinale?

La presenza del sistema endocannabinoide nel contesto genetico dell’organismo fa si che non ci siano limiti d’età. Concordo con il professore che l’utilizzo in pazienti pediatrici e negli adolescenti sia necessaria estrema cautela.

Il passaggio dei principi attivi attraverso la placenta e nel latte materno, sebbene debba essere tenuto in dovuta considerazione, a nostro avviso, non rappresenta, di per sé, la base razionale per evitare l’utilizzo in gravidanza. I cannabinoidi, infatti, si sono rivelati agenti chiave nel processo di preparazione, istituzione e mantenimento della gravidanza ed il loro utilizzo, quindi, può essere valutato in casi specifici dai professionisti.

Quali sono gli effetti collaterali della Cannabis Medicinale?

Gli unici effetti collaterali che meritano di essere presi seriamente in considerazione sono la sindrome da iperemesi da Cannabinoidi e la Sindrome da Ipersensibilità da Cannabinoidi nei quali va sospesa immediatamente l’assunzione.
Altra controindicazione alla prescrizione di tali farmaci è la presenza di Aritmie cardiache (in trattamento o no) in quanto potrebbero essere scompensate dalla terapia cannabinoide. Effetti su ansia, depressione, “psicosi”, sono più imputabili ad una scarsa gestione della terapia da parte del medico che non ha saputo rendere edotto il paziente sul farmaco e che quindi rappresentano manifestazioni di una “paura” o “discomfort” del paziente stesso.

La Cannabis Può dare dipendenza?

L’unico dato presente in letteratura circa la dipendenza indotta da Cannabinoidi riporta un’incidenza del 9% degli utilizzatori. (Pubblicazione su NEJM) Diversi autori hanno messo in discussione tale riscontro sottolineando come non vi sia alcuna dipendenza fisica (come nel caso del craving da oppioidi) ma che essa si stabilisca solo su meccanismi di abitudine o psicologici a tutti gli effetti reversibili.

Il prof. Russo, durante un congresso nel 2015, ha magistralmente riportato come la Cannabis possa essere utilizzata in modo molto efficace per vincere le dipendenze piuttosto che esserne la causa. Ciò la renderebbe indicata nei soggetti che presentano problematiche di abuso di droghe o farmaci. Per quanto riguarda i soggetti affetti da condizioni psichiatriche l’utilizzo deve essere attentamente valutato ma tali condizioni non dovrebbero rappresentare di per sé una controindicazione alla prescrizione.

CANNABIS (nel trattamento della) MANIA.

CANNABIS (nel trattamento della) MANIA.


 

La mia opinione del cosiddetto “mondo cannabico” attuale è espressa egregiamente dall’ultimo titolo del consueto articolo di Franco Casalone per Soft Secrets. “la fiera degli allocchi” recitava. Ciò che “ho visto” io, col mio sguardo più “medico” è stata invece “la fiera dei maniaci”. Pensate ad un’analogia: la società di oggi come ad un paziente bipolare. Il prolungato periodo di repressione perpetrato nei confronti di questa pianta è paragonabile ad una “fase depressiva”, ad oggi, con gli spiragli di qualche finta concessione, la “crisi depressiva” è finita e siamo passati alla fase, appunto, maniacale. Tecnicamente la mania è definita come “condizione psicopatologica caratterizzata da uno stato di eccitazione che coinvolge più sfere della personalità”.

Sfortunatamente, la disinformazione che ruota ancora intorno a questa pianta, ha fatto si che l’eccitazione, invece che dirigersi verso uno scopo “conoscitivo” (come sarebbe auspicabile di fronte ad un evento mai studiato prima) si sia diretta verso un fine “meramente lucrativo”.

Cavalcando la permanente dicotomia legale/illegale, i prezzi sono stati mantenuti coerenti al mercato, assumendo come “corretto” il prezzo attribuito alla pianta considerata “illegale”. Conoscere qualcosa è difficile, richiede tempo ed investimento. Commercializzare qualcosa, invece, è affare diverso, si fa leva sulle necessità consce e non dei clienti per poter dare loro “un qualcosa di cui hanno bisogno”.

Non è questa, a mio avviso, la direzione giusta da intraprendere. La conoscenza di questa pianta è un sistema complesso di relazioni tra sfere di competenza. Come si può, nella parte “evoluta del mondo”, voler comprendere una pianta da una molecola, quando in quella considerata “meno evoluta” viene utilizzata ancora oggi, da millenni, come medicina sia per l’uomo che per l’animale?

Tutta questa neonata mania non deriva dalla pianta in sé, deriva dalla speculazione che può essere fatta su di essa. Riconoscendo questi “punti deboli del sistema” e non volendo fare della pura critica sterile, abbiamo dato vita ad un’esperienza unica nel suo genere che cercherà di affrontare “il sistema cannabis” da tutti i punti di vista, compresa l’esperienza diretta della pianta selvatica dato che l’esperienza si svolgerà in Nepal.

Nuotare controcorrente non è mai semplice, si fa sempre più fatica degli altri, ad alcuni, però, il paesaggio della sorgente piace di più di quello della foce.

Hari Om Tat Sat.

Cannabis una pianta per la vita

Cannabis una pianta per la vita


 

Da quando ho iniziato la mia “relazione di conoscenza” con questa pianta mi sono ritrovato a pormi dei quesiti che non so se mai mi sarei posto altrimenti. Tra questi, uno dei più pregnanti riguarda il concetto di Vita e come questo sia molto più ampio ed articolato di quello che siamo abituati ad intendere inconsciamente.

Approfondendo, successivamente, questa relazione e studiando più la fondo la sua storia ed evoluzione mi sono trovato a realizzare che, effettivamente, questa pianta, potrebbe rappresentare concretamente l’unica fonte di una vita imperniata sull’essenziale.

Ma che cosa significa vivere una vita imperniata sull’essenziale? Cosa è davvero necessario nella vita di un essere umano?

  • È necessario avere del cibo, per soddisfare all’intrinseca necessità di mantenimento organico del corpo materiale.
  • È necessario avere un riparo, affinchè il nostro fragile involucro non venga attaccato dalle irruente forze della natura.
  • Per lo stesso motivo sebbene in versione “light” è necessario avere dei vestiti che ci proteggano quando siamo al di fuori del nostro riparo sicuro.
  • Abbiamo bisogno, infine, di medicamenti che allevino le sofferenze derivata dalla malattia, manifestazione peculiare di una qualche nostra fragilità.

Questi 4 elementi sono necessari e fondamentali. Secondo le filosofie orientali, però, vi è sempre un V elemento come costituente di ogni singola realtà ed è quello “Sprirituale”, l’”etere”.

Tale elemento non è mai stato bistrattato così tanto come nell’epoca in cui viviamo oggi dove, molto spesso, chi ha una propensione personale in tal senso viene escluso dal “gruppo della maggioranza” con tutte le conseguenze che questo comporta.

Che cosa c’entra la pianta di Cannabis Sativa L. con tutti questi discorsi filosofici vi starete chiedendo. Ad un’analisi più approfondita, forse, un senso c’è e risale a tempi immemorabili.

Della pianta di Cannabis, infatti, abbiamo utilizzato, da sempre, ogni suo singolo componente. Ogni parte del mondo in cui cresceva libera era caratterizzata da una “prevalenza di utilizzo” ma oggi, a distanza di millenni siamo in grado, finalmente, di fare un passo indietro, osservandola nel suo complesso e avendo piena contezza delle potenzialità che essa racchiude.

  • Le radici possono essere usate come medicamento così come veniva fatto dagli antichi cinesi che ne riportano gli utilizzi sin dal 2700 AC (ad oggi questi utilizzi sono quasi del tutto andati perduti) Veniva indicato come un buon antidolorifico nel dolore da fratture ossee e in quello post-chirurgico. Potevano, dopo esser state polverizzate, formare una pasta che veniva apposta sulle ferite. Ne era inoltre raccomandata l’assunzione tramite un decotto al fine di alleviare I dolori, stimolare la diuresi e, a quei tempi, per placare le emorraggie post-partum.
  • Il fusto della pianta, a differenza delle radici oggi ancora ampiamente conosciuto, può essere utilizzato per le sue eccellenti fibre al fine di confezionare vestiti. È degno di nota il fatto che in molte culture i riti funebri si svolgessero tramite cremazione dei corpi avvolti in sudari fatti proprio di questo tessuto. Innumerevoli sono le prove storiche degli utilizzi tessili i cui primi rinvenimenti sono datati anche oltre 10 mila anni fa. Dalla polpa del fusto si può ricavare della carta di durevolezza estremamente elevata. In un periodo storico molto più recente rispetto a quando si ottenevano questi due prodotti dal fusto delle piante di canapa, è stato introdotto l’utilizzo della sua parte legnosa (dopo appropriata separazione meccanica) come materiale da costruzione estremamente salubre oltre che tra i più ecosostenibili che si possano rinvenire nel panorama odierno.
  • Le foglie ed i fiori freschi della pianta di canapa sono un serbatoio preziosissimo di Cannabinoidi Acidi. Possono essere introdotti nel nostro organismo come medicamento, e non hanno alcun effetto psicoattivo, in quanto, la loro formula chimica, non gli consente di attraversare la barriera estremamente selettiva che separa il nostro sangue dalle nostre cellule nervose. La metodica migliore per assumere questo superalimento è attraverso l’estrazione del materiale a basse temperature. Si sconsiglia di ingerire le foglie integre (a mò di insalata) in quanto sulla loro superficie sono presenti dei piccoli cristalli, detti cistoliti, che possono provocare irritazioni alla mucosa dello stomaco.
  • I fiori della pianta maschile non hanno altra utilità che far completare il ciclo riproduttivo di quella femminile che, sulle sue infiorescenze, produce due componenti importantissime per l’uomo: i semi da cui si ricavano alimenti completi di amminoacidi e acidi grassi (in un rapporto omega3-omega6 che ha pochissimi eguali in natura) e, dalla loro spremitura, oli nutrizionalmente altrettanto validi e che nell’antichità venivano usati anche come combustibile.

L’altro prodotto è contenuto all’interno di strutture molto piccole che prendono il nome di Tricomi. Ciò che contengono è la resina della pianta, li dove essa stessa concentra il suo fitocomplesso. Un “nettare medicamentoso” che, se propriamente lavorato, potrebbe alleviare le sofferenze di una percentuale di pazienti, affetti da un ampio range di patologie, estremamente significativa. Tale resina è anche la responsabile di quell’utilizzo ad oggi stigmatizzato, di ricerca spirituale, scarsamente diffuso in occidente ma conosciutissimo e a tutt’oggi praticato nei paesi asiatici.

Come titola l’articolo la Cannabis è una pianta per la vita. Una vita semplice ma, grazie alla relazione armonica che si può instaurare tra lei e noi, felice. O almeno questa è stata la mia esperienza personale e se lo è stato per me, forse, potrà esserlo anche per qualcun altro. In definitiva siamo tutti esseri umani.

La diffusione della Cannabis nel pianeta Terra

La diffusione della Cannabis nel pianeta Terra



 

Negli ultimi 100 anni della storia dell’uomo si è evidenziata, sempre di più, una perdita di memoria collettiva circa le nostre origini e quelle del pianeta che ci circonda.

Sebbene la “perdita di memoria” sia trasversale a molti argomenti inerenti il nostro “essere”, c’è n’è uno, in particolare, che si sta dimostrando necessario al mantenimento di un pregiudizio. Con questo articolo vorrei tentare di rinfrescare questa memoria, offrendo ai lettori uno spunto di riflessione che li aiuti a riconsiderare la storia di una pianta che è sul pianeta Terra da molto prima di noi e che, molto probabilmente, continuerà ad esserci anche dopo che noi saremo scomparsi.

La pianta di Cannabis ha una storia molto più “lunga” di quella dell’essere umano e la sua comprensione è materia di acceso dibattito scientifico.

Le ipotesi sull’evoluzione storica della pianta di Cannabis si basano su diversi reperti come semi, fitoliti, frutti, steli, tricomi, grani di polline, cordame e tessuti appartenenti alle diverse epoche in associazione alle testimonianze scritte lasciateci dai nostri antenati. Prima dell’avvento dell’uomo, com’è ovvio, la nostra conoscenza può essere semplicemente speculativa a posteriori.

L’unico precursore originario ipotizzato, si avvicinava molto ad una Var. Ruderalis di oggi ed ha seguito un’indipendente evoluzione millenaria in Eurasia, molto probabilmente vedendo la sua prima comparsa nel centro del continente Asiatico.

Molto tempo prima dell’arrivo dell’uomo nel pianeta, probabilmente durante una singola stagione maturativa, il precursore della pianta di Cannabis è incorso in una variazione genetica così particolare da creare un nuovo enzima, responsabile, da allora, della produzione della molecola THC. Questa variante si è mantenuta in alcune sottopopolazioni e, primavera dopo primavera si è perpetuata questa straordinaria capacità di sintesi biochimica. Tale variante genetica, considerata dagli studiosi come “mutazione” ha dato origine all’allele BT. Gli stessi studiosi hanno provato che tale evento rappresenta la più importante pietra miliare nella storia evolutiva della pianta di Cannabis.

Durante questi periodi molto antichi, fino al Pleistocene e primo Olocene, la terra era ancora un “organismo instabile”. Le glaciazioni si susseguivano regolarmente. Ciò rappresentava un forte stimolo selettivo per tutto il regno vegetale, ivi compresa la pianta di Cannabis. Quando le condizioni climatiche diventano così estreme, infatti, le piante non hanno possibilità di spostarsi come gli animali o gli uomini, la loro popolazione diminuisce e si “isola” autonomamente in quelli che vengono chiamati “rifugi ecologici”. È da li che, finite le rigide condizioni climatiche, ricominciano ad espandersi numericamente gli individui che più hanno saputo passare attraverso “il peggio”.

L’incontro con l’essere umano è avvenuto all’incirca nell’era del primo Pleistocene. Nella parte ovest del continente euroasiatico i primi ominidi sono venuti a contatto con il precursore a foglie sottili della pianta di Cannabis (ad oggi denominata Sativa) mentre i gruppi che si sono diretti nel sud-est asiatico, probabilmente, sono venuti a contatto con il precursore a foglia larga di Cannabis (ad oggi denominata Indica).

Il più recente lavoro di indagine tassonomica disponibile è stato pubblicato nel 2004/2005 da Hillig e Mahlberg. I due scienziati hanno scritto una serie di 5 studi dopo l’analisi di 157 semi di Cannabis differenti provenienti da diverse parti del mondo. Le indagini si sono focalizzate sulla produzione, da parte delle piante, di cosiddetti “allozimi”, che, essendo sostanze facenti parte del complesso metabolico principale della pianta, sono considerati come “non affetti” dalla selezione umana. Questi lavori consigliano di suddividere il “genere Cannabis” in 7 domini tassonomici distinti (li trovate riassunti nell’infografica). Tale classificazione è la più recente e la più articolata facendoci rendere conto di come lo studio di questa pianta non sia così semplice come appare e, pertanto, non deve essere trattato superficialmente.

La dispersione della pianta di Cannabis e delle varianti tassonomiche di cui abbiamo appena parlato è riassumibile in 6 fasi:

  • Fase 1: dispersione primaria lungo l’Eurasia 10.000 – 2000 anni BC
    La pianta si era stablizzata in queste regioni già 100.000 anni prima. Alla fine delle grandi glaciazioni. L’essere umano ha utilizzato ciò che la Natura aveva selezionato in queste regioni. Le popolazioni di piante di Cannabis si propagavano dai “rifugi ecologici” che erano riuscite a trovare.
  • Fase 2: diffusione Africana e Sud-Est Asiatica 2000 – 500 BC
    La pianta di Cannabis si diffonde grazie all’uomo che ne fa un utilizzo prettamente spirituale-religioso come testimoniato dalla quasi assoluta mancanza di reperti che attestino l’utilizzo di fibre o semi. Sebbene in Africa la data di comparsa della Cannabis sia ancora in discussione, ciò che è certo è che i commercianti Arabi ed Indiani hanno contribuito decisamente al processo di introduzione nella pianta in quel continente. Alla fine di questo periodo, la tipologia a foglia stretta era ancora confinata in Europa e ci sarebbe rimasta fino all’inizio dell’espansione coloniale del mondo occidentale.
  • Fase 3: diffusione nel nuovo mondo 1545 – 1800 DC
    È in questo periodo, grazie alla diffusione dei migranti europei, che la canapa va oltre i confini di questo continente ed i suoi utilizzi tessili ed alimentari cominciano ad essere conosciuti anche nel continente Americano fino ad allora “vergine” a questa pianta. Durante questa fase di espansione la Cannabis si adatta perfettamente ai climi delle varie latitudini e longitudini iniziando il suo periodo di “nuova stabilizzazione”.
  • Fase 4: diffusione nel nuovo mondo 1800 – 1945 DC
    Verso la metà del 1800 vengono introdotte, in Europa e negli Stati Uniti le varianti da seme e fibra di origine cinese. Parallelamente a questa diffusione, in alcune altre zone come Caraibi, Centro America, Colombia e Messico, la selezione umana puntava al più elevato contenuto di THC possibile, selezionando le piante verso quella direzione, incuranti delle altre sue proprietà.
  • Fase 5: Espansione dopo la seconda guerra mondiale 1945 – 1990 DC
    Il proibizionismo era iniziato un paio di decenni prima e stava raggiungendo il suo culmine. Il tentativo di soppressione della coltivazione della pianta di Cannabis ha favorito i mercati illeciti i cui “padroni” incrociavano varianti Landrace differenti per ottenere il maggior contenuto di THC possibile. Si era ottenuta la diffusione di varianti Afghane e Indiane anche nel continente europeo, in associazione alle opere di selezione fatte da Colombia e Messico che, in quegli anni, primeggiavano nelle esportazioni in tutto il mondo.
  • Fase 6: Ambiente Artificiale e proliferazione della Canapa industriale 1990 – oggi
    La imponente proibizione legata a questa pianta ha condotto a due estremizzazioni. Da un lato la forzatura di una coltura in campo aperto che debba rispettare espressioni di THC pressochè innaturali. Dall’altra, ha condotto ad una vastissima urbanizzazione della coltivazione della pianta “da droga” che viene propagata all’interno di abitazioni dove acqua, luce e privacy sono prontamente disponibili. Tale urbanizzazione ha portato alla completa dipendenza dall’uomo di questa variante di Cannabis (“da droga” ndr) che solo grazie a lui prolifera e si propaga.

 

Per concludere vorrei riportarvi la traduzione esatta di un breve passo del libro da cui sto traendo tutte le informazioni che vi riporto: “ Gli esseri umani hanno portato la coltivazione e l’utilizzo della pianta di Cannabis per tutto il globo terraqueo, perfino nei nostri attici, garage o armadi. C’è ancora poco terreno che la Cannabis debba ancora conquistare. La dispersione mediata dagli umani e la coltivazione clandestina assicurano che il patrimonio genetico della pianta di Cannabis possa vivere in un mondo che cambia sempre più velocemente, così come ha fatto per millenni. La domanda è: in cosa evolverà ora? Che cosa vorranno ancora gli esseri umani dalla pianta?”

La risposta la provo a dare, umilmente io, ritrovare la loro ”coscienza” dimenticata.

Le origini della pianta di Cannabis

Le origini della pianta di Cannabis



 

la Cannabis è sempre stata proclamata come una risorsa suprema dell’umanità e allo stesso tempo accusata come il più grande fardello, durante tutto il tempo in cui gli esseri umani l’hanno utilizzata per innumerevoli scopi.

Lo scenario che seguirà è tratto dal Libro “Cannabis, Evolution and Etnobotany” di Clarke e Merlin e riguarda ricostruzioni plausibili dell’epoca dell’Olocene.

Proviamo a pensare ad un giorno di primavera di migliaia di anni fa, una lunga era glaciale era appena finita e un piccolo gruppo di nomadi girovagava per le terre emerse dopo il disgelo. Trovando un terreno consono all’accampamento tra le anse di un tortuoso fiume, il gruppo decise di fermarsi.

Questi piccoli gruppi erano migrati lontano, in località così remote, perché spinti dalla violenza di altri gruppi più potenti e più aggressivi. Gli ominidi del tempo non avevano ancora sviluppato tecniche di coltivazione e la loro sopravvivenza dipendeva interamente dalla caccia e da ciò che la Natura provvedeva loro. Al primo compito era deputato il maschio, mentre le femmine trascorrevano l’intero giorno a raccogliere frutti, radici, semi, noci, materiale da fibra e legna per il fuoco.

Il vicino fiume forniva al gruppo molte delle risorse necessarie alla sopravvivenza rendendolo quindi un posto difficile da abbandonare. La permanenza di questo gruppo nello stesso posto influenzò l’ambiente circostante favorendo la proliferazione di diverse specie di piante. Queste erano, infatti, già “preadattate” alle nuove cicatrici del terreno, aperte dall’essere umano e diventate suolo molto fertile grazie ai rifiuti (organici) che vi si depositavano.

La pianta di Cannabis era una di queste.  Nelle loro missioni di approvvigionamento del cibo, le donne, avevano trovato queste piante, al termine della stagione estiva, cariche di semi che, a loro giudizio, potevano essere utilizzati come alimento.

La miriade di semi presenti sulle piante ha fatto si che fosse più comodo tagliare l’intero vegetale e trascinarlo all’accampamento per trovare il modo più comodo per separarli. Solo qualche stagione dopo, tutti i semi necessari al villaggio provenivano da piante che erano cresciute nei dintorni dato l’inevitabile spargimento di semi durante il lavoro di estrazione.

Parallelamente al cibo i primi uomini avevano compreso l’enorme potenziale dell’olio che si poteva estrarre dai semi. Questo era infatti utilizzabile in cucina, come combustibile, e furono realizzati perfino primordiali saponi.

Sono state relazioni tra uomo e piante come questa appena descritta che hanno permesso il passaggio alla “stanzialità” dell’essere umano.

Non passò molto, nella relazione tra uomo e Cannabis, prima della scoperta dell’enorme potenziale delle fibre che si potevano ricavare dal suo stelo. Lasciando macerare le piante nell’acqua, non solo si ottenne la materia prima (processo di Retting), ma i nostri antenati poterono notare come i pesci, intontiti dalla mancanza di ossigeno che si creava nelle vasche di macero durante il processo, venivano a galla ed era molto più semplice catturarli. Un’altra importante fonte di cibo era stata assicurata.

Un’enorme domanda che resta tuttora aperta è la seguente: “l’importanza delle fibre o del cibo era davvero l’unica ragione per cui i nostri antenati si erano interessati così tanto a una “semplice pianta”?”.

Nel nostro antico passato, le valenze esperienziali che si potevano avere mediante l’utilizzo della resina prodotta dai fiori della pianta femmina, possono aver “aperto nuove porte della percezione”. Il consumo di questa resina avrebbe potuto aspirare al ruolo di “rifugio chiave” sia mentale che fisico da schemi di vita frequentemente monotoni e molto affaticanti.

Gli effetti psicoattivi della pianta di Cannabis potrebbero aver avuto un effetto “esplosivo” sulla visione del mondo dei nostri antenati e sulle loro ideologie. Le visioni estatiche visionarie che si possono avere con l’ingestione d’ingenti quantitativi di resina possono aver formato un sistema di credenze e simboli che tentavano di interpretare l’esistenza di qualcosa di invisibile ed indimostrabile. “Spiriti” sia benevoli sia malevoli.

La pianta potrebbe aver rivestito il ruolo di “dono degli dei” per trascendere il normale stato di coscienza ed entrare in connessione con quelle “entità invisibili”. Essenzialmente, la Cannabis, avrebbe fornito un mezzo attraverso il quale ognuno poteva “comunicare con la propria divinità”. Come riportano Shultes e Hoffman già nel 1992, la Cannabis potrebbe essere considerata una “primordiale pianta degli Dei”.

Qualunque sia la motivazione iniziale dell’utilizzo della Cannabis da parte dei nostri antenati. sta di fatto che l’importanza di questa pianta ha fatto si che diventasse parte di quel “patrimonio fondamentale” trasportato da quelle comunità. Sempre insieme, di luogo in luogo, nel periodo di transizione dall’essere nomadi ad essere stanziali, così come ai giorni nostri.

Le relazioni tra l’uomo e la pianta continuano fino ai giorni nostri, senza alcuna interruzione, a distanza di migliaia di anni. Queste due “entità” della Natura le relazioni mutano forma rimanendo inalterate nell’intensità.

Le profonde radici di questo rapporto mi fanno sperare che possa succedere, così come è già stato, “un’apertura di orizzonti” nell’essere umano. I “cambiamenti epocali” possono succedere da un momento all’altro, eventi “imprevisti” in un gioco cosmico che tutto comprende. Ogni singolo essere umano può fare la differenza e noi non lo possiamo sapere.

I temi ancestrali della spiritualità ad oggi vengono additati come ridicoli. Qualcosa da cui rifuggire inevitabilmente. Tutto accumunato sotto la definizione di “sballo”. Uno stereotipo che ha radici profonde tanto quelle che abbiamo appena descritto tra l’essere umano e la pianta. Affrontando così superficialmente un argomento così embricato nell’intima cultura dell’essere umano, si perde di vista l’intero spettro di potenzialità, in primis curative, che può avere l’interazione tra questa pianta ed il nostro organismo.

Il nostro sistema emotivo dovrebbe essere valorizzato tanto quanto quello fisico. Per ora, però, la strada da fare è ancora lunga.

Gli insegnamenti della Canapa: non tutto il male viene per nuocere.

Gli insegnamenti della Canapa: non tutto il male viene per nuocere.


 

Ho avuto l’onore di poter conoscere e sperimentare in prima persona molte storie di molti pazienti. Sono stato paziente io stesso, auto-curandomi con la Canapa. Man mano che formavo la mia esperienza, insorgeva in me una distinta visione delle cose che mi circondavano. Tutto assumeva un senso coerente, anche eventi che, presi singolarmente, di “senso” non ne avevano proprio.

Ho iniziato a correlare una conoscenza biochimica del sistema endocannabinoide con quella più clinica basata sulla mia sincera e profonda ricerca riguardo questa pianta. Ritengo fermamente, infatti che, il sistema Endocannabinoide sia correlato ad un’altra scienza che ha suscitato il mio interesse sin dalle scuole superiori. La Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia.

Negli scorsi articoli, abbiamo visto come il proibizionismo si sia fondato su basi egoiche. Una cieca ricerca del profitto immediato, ci ha portato alla condizione attuale.

La costrizione degli umani entro parametri “illusori” ha però avuto come conseguenza una necessità crescente di consapevolezza sul mondo che ci circonda. Forse, allora, il proibizionismo è servito, era necessario, perché, come la pianta stessa mi ha insegnato, “non tutto il male viene per nuocere”. Una grande “sofferenza” o “ingiustizia” di un momento può rivelarsi una grande fortuna vista con gli occhi del futuro.

È così che, professionalmente, considero ogni malattia. C’è sempre un lato biologico, meccanico che deve essere compreso e curato all’occorrenza e poi c’è un lato meno tangibile che si candida fermamente a origine prima di ogni problema e che può manifestarsi, anche, con ciò che viene comunemente inteso come “malattia”.

Un tale approccio non è semplice perché richiede, al paziente, una profonda auto-conoscenza, quindi molto tempo per ciascun paziente e, soprattutto, non ha un risultato certo, perché ci costringe a fare i conti con lati di noi stessi ignoti e repressi e che, per tale motivo, temiamo. Cambiare fa paura. Cambiare significa andare verso l’ignoto. Accettare tutte le conseguenza che possono insorgere dalle nostre scelte.

L’utilizzo della Canapa non fa perdere il raziocinio come, troppo spesso, è ancora riportato. Quell’effetto è possibile in seguito ad una “mancata consapevolezza” di ciò che si sta facendo. In fondo, non abbiamo creato apposta le patenti di guida? Gli strumenti devono essere utilizzati correttamente. Le nostre scelte in definitiva, non rappresentano forse quelli che abbiamo e che possono creare una reale influenza sulla direzione della nostra vita?

Canapa, che si fermi la corsa all’oro, è solo una pianta

Canapa, che si fermi la corsa all’oro, è solo una pianta.


 

Perseguendo il mero scopo del denaro per togliere dalla circolazione la Canapa, la realtà conseguente si è adattata alla bassezza dello scopo iniziale. Si è creato un mercato underground dove, la pianta, ha conosciuto l’inizio del suo “maltrattamento”. È stata relegata in garages, scantinati, laboratori. È stata duramente selezionata ad uno scopo, quello che viene, ancora oggi, definito volgarmente “lo sballo”. Possiamo non esserne pienamente consapevoli ma ciò che identifichiamo come “sballo” non deriva solo da una sostanza assunta, è un insieme di comportamenti che noi immaginiamo e che scatenano il nostro pregiudizio più profondo. “Gli sballati sprecano la propria vita”.

La “prigione ideologica” creata con la propaganda proibizionista ha lasciato spazio ad una incontrollata ricerca di profitto. Non si possono “spacciare” fibra e canapulo, il volume è troppo grande per poter passare inosservati. L’unica cosa che si poteva scambiare “in segreto”, invisibile come l’aria, era solo uno dei tanti prodotti della pianta. I fiori secchi e la resina che questi fiori contenevano.

Tali composti hanno la caratteristica di interagire con il nostro organismo. L’interazione, fino a 30 anni fa, era totalmente sconosciuta e la comparsa di un differente stato di coscienza veniva erroneamente associata ad archetipi antichi di rifiuto.

Ad oggi le conoscenze scientifiche sono così avanzate, invece, che abbiamo la possibilità di comprendere come questo stato di coscienza “differente” possa interagire con il nostro organismo al fine di facilitare ognuno nel raggiungimento del proprio pieno stato di Benessere.

Bisogna essere cauti, però, non tanto perché abbiamo a che fare con una sostanza “pericolosa”, quanto perché i cardini su cui sono basate le nuove scienze sono le parti fondamentali delle stesse. Un errore commesso all’inizio del processo di formazione di una teoria può riverberarsi, nel tempo, in complicazioni molto più grandi.

Ad oggi si assiste ad enormi compromessi sociali, alcuni accettabili, altri decisamente migliorabili. La riscossa della Canapa come risorsa ha aperto la corsa ad una grande miniera, tenuta nascosta per molto tempo. Credo sia importante imparare dagli errori del passato e far si che la storia non si ripeta.

Se io dovessi prendere professionalmente in considerazione tutti i fattori di questa pianta che contribuiscono alla salute di una persona, non potrei che raccomandare, come unica via di somministrazione terapeutica, l’autocoltivazione. È solo prendendoci cura di noi stessi, attraverso la cura che poniamo nella nostra “medicina” che possiamo davvero aspirare a vivere una vita che si avvicini il più possibile alla felicità.

I creatori della “sacra inquisizione”: Cannabis, al rogo.

I creatori della “sacra inquisizione”: Cannabis, al rogo.


Agli inizi del 900 c’era una pianta ben nota a tutti, la Canapa. Da questa importante risorsa venivano prodotti carte, tessuti, carburanti, plastiche ecc. Nell’America di quegli anni si stava svolgendo una subdola competizione tra industria e agricoltura. I mercati potenzialmente accessibili da ambo i lati erano enormi. Dal punto di vista agricolo, c’era una corsa allo sviluppo di nuova tecnologia che potesse aiutare l’uomo nella trasformazione della Canapa.

È nel settore chimico-industriale, quindi, che risiedono i creatori della Sacra Inquisizione di una pianta. Nascondendosi dietro un “motivo benevolo per la popolazione” hanno raggiunto l’obiettivo di spazzare via il loro principale concorrente di mercato. La Canapa o, come l’hanno spregevolmente ribattezzata, la Marijuhana. I profitti dovevano essere assicurati. Un’espediente doveva essere forgiato.

A quel tempo c’era una fabbrica petrolchimica, la DuPont, tra i leader nazionali del settore petrolchimico, lautamente finanziata da Andrew Mellon, un banchiere che si trovava a capo della Gulf Oil Corporation. Quando il presidente T. Harding fece A. Mellon Segretario del Tesoro, costui era considerato l’uomo più ricco di America. Negli anni ’20 furono suoi i contributi che permisero a DuPont di rilevare la General Motors come “premio” per aver sviluppato dei nuovi carburanti chimici e un procedimento rapido ed economico per trattare la polpa della carta. L’azienda DuPont ha iniziato la sua attività imprenditoriale nel 1802 come manifattrice di polvere da sparo rifornendo la metà di tutte le commesse dell’esercito statunitense, la sua evoluzione vide la registrazione del brevetto per il Cellophane, Naylon, Dacron e molti altri materiali sintetici. Era così diventato il maggior player petrolchimico americano. La Canapa rappresentava ancora un “rischio di mercato” ed è in questo momento che compare tra i nostri protagonisti il sig. Hearst, tra i maggiori clienti di DuPont, da lui comprava la polpa economica per fare la carta dei suoi giornali. Questa carta aveva rimpiazzato quella più pregiata, fatta in fibra di Canapa. La qualità scadente si denotava in un precoce ingiallimento della stessa. Il giornale di Hearst, inoltre, era famoso per le sue idee radicalmente conservatrici, a tratti, persino offensive. Grazie al supporto indiscriminato di qualsiasi causa proibizionista da parte di Hearst, la collaborazione d’interessi era iniziata. L’apice fu raggiunto quando il nipote di Mellon, Henry Aslinger, fu posto a comando del Beureau of Narcotics. La propaganda fu così roboante che ebbe successo. Il Marijuana Tax Act del 1935, preparato in segreto per due anni, aveva decretato la sconfitta della Canapa. Il petrolchimico era al sicuro. Il resto è storia. E voi siete davvero sicuri che quella in cui vi trovate sia effettivamente la “migliore possibile” per voi stessi?

Cannabis sativa L. – La propaganda della bugia

Cannabis sativa L. – La propaganda della bugia


 

Nella metà dello scorso secolo la seconda guerra mondiale si apprestava a devastare un’intera generazione. In quel contesto vi era un estremo bisogno di radicalizzazione delle Idee e Goebbles, secondo in comando a Hitler durante il periodo Nazista, aveva elaborato dei principi su cui basare la propaganda del partito. Con estremo stupore ho personalmente notato come siano essi stessi applicabili anche al tema Cannabis. Forse, quindi, il messaggio che noi consideriamo come “vero” potrebbe essere un artefatto dell’intelletto “fino a quando la giustizia non scorrerà come l’acqua ed il diritto come un fiume possente” (ML King)

È iniziato tutto con il primo dei principi, quello della semplificazione e del nemico unico.
E’ necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico unico responsabile di tutti i mali. Marijuana, nel nostro caso.

Qualche esempio:

“Negli Stati Uniti d’America ci sono 100mila fumatori di marijuana. La maggior parte di loro sono negri, ispanici, filippini e artisti. La loro musica satanica, il jazz, lo swing, sono il risultato dell’uso di marijuana che provoca nelle donne bianche il desiderio di intrattenere rapporti sessuali con negri, artisti e altri. (…) la prima ragione per mettere la marijuana fuori legge è il suo effetto sulle razze degenerate. È una droga che provoca assuefazione e produce negli utilizzatori insanità, criminalità e morte, porta al lavaggio del cervello pacifista e comunista, induce i negri a pensare che sono come gli uomini bianchi, è la droga che piu’ ha causato violenza nella storia dell’uomo. Fuma uno spinello e probabilmente ucciderai tuo fratello.”

Così tutto è iniziato. Con queste parole di H. Aslinger, direttore del Beaureau of Narcotics americano. Il nemico era stato identificato.

La propaganda è continuata metodica, contagiando, trasponendo, eagerando e travisando, volgarizzando le argomentazioni contrarie, orchestrando il mantenimento dello status quo, rinnovando continuamente una falsità, facendo si che fosse “accettata da tutti”, rispettando i criteri di verisimiglianza, di silenziamento dell’opposizione e operando proprio su substrati che fatichiamo a comprendere e che risuonano nel nostro inconscio generale. Nel caso della Cannabis la sua psicoattività che interagisce con lo stato mentale considerato “normale” dalla maggior parte delle persone.

Affrontare l’argomento Cannabis significa andare oltre tutti questi parametri che “blindano” una realtà molto diversa da quella che appare. Approfondire la ricerca sta solo a noi, le informazioni sono ormai ampiamente disponibili a tutti.